Questa
pagina è dedicata alle altre navi che hanno portato il nome
ARDITO, coloro che vogliono fornirci un valido contributo
all'allestimento, possono inviare via e-mail (
alfonsozampa@gmail.com ) nominativi, materiale
fotografico ed altro ancora, per dare modo a chi visita questa
pagina di avere altre informazioni conoscitive.
LA PRIMA NAVE CHE PORTO' IL NOME
ARDITO
La
Pirocannoniera ARDITA
(nel conflitto dell'assedio di Gaeta)
L’ASSEDIO DI GAETA 1861
Settembre
1860: il re Francesco II di Borbone, costretto dall'incalzare
degli eventi a lasciare Napoli, si ritirò a Capua stabilendo
nella Piazzaforte di Gaeta la base delle operazioni militari.
Perduta anche Capua, il re, la corte ed il corpo diplomatico
accreditato presso il governo borbonico, si rifugiarono a Gaeta.
L'esercito borbonico aveva perduto ogni efficienza bellica.
Battuto più dal tradimento che dal nemico, incalzato dalle
truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini, si apprestava a
difendere la fortezza più per salvare l'onore delle armi che per
vincere. Le operazioni d'assedio iniziarono sul fronte di terra
il 5 novembre 1860.
Il Borgo di Gaeta ed il fronte di terra in una tempera del pittore
Carlo Bossoli (1861)
Nella rada, le unità navali partecipanti al blocco della Piazzaforte
Descrivere
le varie fasi dell'assedio è opera lunga e complessa. In questa
pagina verranno ricordate esclusivamente le operazioni navali
interessanti l'evento bellico. Il corpo d'assedio era forte di
18.000 uomini con 1.600 cavalli e 180 cannoni moderni. Nel porto
di Gaeta erano ancorati pochi avanzi della flotta napoletana (5
unità: la fregata a vela
Partenope
e gli avvisi
Delfino,
Messaggero,
Saetta
ed
Etna),
quattro navi spagnole (i due piroscafi da guerra
Vulcan
e
Colon,
la corvetta a vela
Villa de Bilbao,
il trasporto a vapore
Generale Alava)
ed
una prussiana (il piroscafo da guerra
Loreley).
Era inoltre presente una Squadra Navale francese (7 navi), al
comando del Vice Ammiraglio Le Barbier de Tinan, che proteggeva
dal mare i borbonici. La squadra francese era composta dai
vascelli ad elica
Bretagne
(nave ammiraglia),
Fontenoy,
Saint Louis,
Imperial,
ed
Alexandre,
nonché dai piroscafi da guerra
Prony
e
Descartes.
Il 19 gennaio 1861, alle ore 16.30, la Squadra Navale francese
che aveva impedito dal mare l'assedio della Piazzaforte
borbonica, levate le ancore, fece il saluto alla bandiera reale
di Gaeta ed uscì dal porto dirigendosi verso ponente. La
batteria Santa Maria rispose al saluto. Altrettanto fecero le
altre unità straniere.
La Batteria Santa Maria subito dopo la capitolazione della
Piazzaforte di Gaeta
Sullo sfondo, la Squadra Navale che aveva operato il blocco durante
l'assedio
Fotografo Eugenio Sevaistre febbraio 1861
La Squadra
Navale piemontese, composta da naviglio dei Regni Sardo -
Piemontese, delle Due Sicilie e della Marina Granducale Toscana,
lo stesso giorno salpò da Napoli al comando del Vice Ammiraglio
Conte Carlo PELLION DI PERSANO. Giunse a sera a Mola di Gaeta,
quando l'ultimo vascello francese lasciava la rada. Il 20
gennaio la Pirocorvetta a ruote Monzambano (Comandante BUGLIONE
DI MONALE) entrò con bandiera parlamentare nel porto di Gaeta
per notificare il blocco alla Piazzaforte. Dichiarato il blocco
della Piazza, furono poste in crociera la Pirofregata
Costituzione (Comandante WRIGHT) e le Pirocannoniere Ardita e
Veloce (Comandanti ANSALDI e CAPPELLINI). Poco dopo vi si
aggiunsero le Cannoniere Confienza e Vinzaglio (Comandanti DI
SAINT BON e BURONE - LERCARI). L‘Ammiraglio PERSANO era sulla
Pirofregata Maria Adelaide (Comandante ACTON) e da esso
dipendevano direttamente le altre due Pirocorvette Carlo Alberto
e Vittorio Emanuele (Comandanti MILLELIRE e PROVANA) nonché la
Pirocorvetta a ruote Monzambano e la Fregata ad elica Garibaldi
(ex Borbona). Il 22 gennaio, contemporaneamente all'azione delle
artiglierie terrestri, alle ore 9,30 l'intera Squadra mosse dal
suo ancoraggio di Mola per attaccare le batterie Santa Maria e
Guastaferri. Alle 10,30 le navi, provenienti da levante,
lanciarono le loro bordate senza però ottenere alcun risultato
di rilievo. Cessarono il fuoco verso le ore 12,00. Nel
pomeriggio la Squadra riprese il fuoco interrotto a distanza
ravvicinata, prontamente contrastata dalle batterie borboniche.
Le Cannoniere
Confienza
e
Vinzaglio
furono duramente provate. Quest'ultima subì nello scafo gravi
avarie tanto da essere obbligata a porre in mare le sue
imbarcazioni per operare riparazioni urgenti sotto il tempestare
del fuoco avversario. Soltanto l'intervento diversivo delle
altre unità riuscì ad evitare il peggio. Quel giorno furono
lanciati da queste navi oltre 4.000 proiettili e tutte,
all'infuori della
Garibaldi
(Comandante D'AMICO), della
Monzambano
e
della
Veloce,
riportarono parecchie avarie. Fra gli equipaggi si ebbero 5
morti e 9 feriti. Da parte borbonica, si ebbe la perdita per
affondamento dell'avviso
Etna.
Attacco della Pirofregata Garibaldi alle fortificazioni di Gaeta la
notte dal 5 al 6 febbraio 1861
(Tempera del pittore Carlo Bossoli - 1861)
Il 24
gennaio la Squadra fu rinforzata dalle Pirocannoniere
Palestro
(Comandante SOLARI) e
Curtatone
(Comandante FIGARI), venute da Genova, e dalla
Fieramosca
(Comandante MARTINI), giunta da Napoli, cosicché il blocco si
fece più completo ed efficace. Ai primi di febbraio arrivò anche
il Vascello ad elica
Re Galantuomo
(Comandante GIRAUD), il Piroscafo Avviso
Aquila
(Comandante CARACCIOLO) e la Pirofregata
Fulminante
(Comandante DEL CORE), poi l‘Avviso a ruote
Authion
(Comandato da FAÀ DI BRUNO)
che per la sua velocità rese ottimi servizi nel recapito di
ordini e di avvisi. Per accelerare la resa di Gaeta, che
resisteva strenuamente, il Generale CIALDINI, Comandante delle
truppe d'assedio, d'accordo con l’Ammiraglio PERSANO, aveva
intanto progettato di trasformare la Cannoniera
Confienza
in brulotto minatore, affidandone il comando al Capitano DI
SAINT BON. E per procedere a tale trasformazione aveva fatto
ricoverare quella nave nello scalo di Mola, richiedendo
contestualmente a Napoli ed a Torino la maggior quantità
possibile di polvere esplosiva. Il DI SAINT BON, con una delle
numerose navi parlamentari entrate nel porto durante
l'armistizio, venne mandato nella città assediata per esplorare
le difese a mare. Ben presto fu in grado di elaborare un piano.
Aveva infatti notato che il porto non era chiuso da alcuna
protezione, a dimostrazione che i borbonici non sospettavano una
sorpresa del genere. Al momento opportuno, con
"bonaccia assoluta"
ed in
"una notte senza luna",
doveva guidare la nave, trasformata in un'enorme bomba
semovente, fino a 300 - 400 metri dall'imboccatura del porto,
dare velocità iniziale al brulotto e calcolare che l'accensione
della miccia durasse fino a che il brulotto stesso urtasse
contro la cortina interna delle mura del porto.
La batteria piemontese dell' Atratina.
Sullo sfondo, ben visibili, le unità della Squadra Navale
partecipanti al blocco della Piazzaforte di Gaeta.
In secondo piano, a sinistra, il campanile della Chiesa di S. Maria
di Porto Salvo (o degli Scalzi).
Fotografo Eugenio Sevaistre febbraio 1861
Dopo aver
acceso la miccia avrebbe lasciato il timone legato per
abbandonare il battello con una scialuppa. La carica prevista
era di 50 tonnellate di polvere e l'effetto sarebbe stato
terribile. Infatti, quasi sicuramente, non sarebbero saltati per
aria soltanto i bastioni del
Fronte di Mare,
ma buona parte della città, bassa densamente popolata. Dalla
breccia praticata sarebbero entrate le truppe da sbarco. Queste
furono infatti opportunamente preparate, destinando allo scopo
quattro battaglioni di bersaglieri, imbarcati ciascuno sopra una
cannoniera e muniti di scale a corda. Dalla prima Cannoniera
dovevano inoltre scendere a terra 24 artiglieri per inutilizzare
i pezzi in batteria e 24 zappatori del genio opportunamente
muniti di esplosivo per far saltare le porte e le serrande.
Infine, come eventuale rinforzo, fu stabilito di far seguire una
grossa barca con una compagnia di marinai. Analogamente alla
Confienza,
un simile lavoro di trasformazione in brulotto si operava per la
Pirocannoniera
Curtatone,
destinata invece a demolire un punto più centrale delle mura del
cosiddetto Fronte interno di mare. Fortunatamente per la città e
per la popolazione, i successivi eventi e la resa della Piazza
fecero sospendere e poi abbandonare il progetto dei brulotti
minatori. Il 13 febbraio 1861, Gaeta capitolava e nelle prime
ore del mattino del 14 le truppe piemontesi prendevano possesso
della piazzaforte. Il Re Francesco II di Borbone, con la regina
Maria Sofia, partiva da Gaeta imbarcandosi sulla Corvetta
francese
Mouette,
fatta venire appositamente da Napoli.
Il
Monarca, salutato con la salva reale di 21 colpi della Batteria
Santa Maria e con il triplice ammainarsi della bandiera
borbonica di Punta Stendardo, prendeva
"la dolorosa via dell'esilio da quella terra che l'aveva visto
nascere".
Veduta generale di Gaeta dopo la resa.
Litografia di C. Perrin - 1861
Con la
resa della piazzaforte, nascevano così l'Italia e la Marina
Militare Italiana che sotto le mura di Gaeta aveva avuto il
battesimo del fuoco. Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno
d'Italia, stato unitario, nazionale ed indipendente. La Marina
Militare Italiana, già di fatto costituita, veniva ufficialmente
istituita il 1° aprile 1861, fondendo in unico corpo le navi,
gli equipaggi e le tradizioni delle Marine dei regni di Piemonte
e Sardegna, del Regno delle Due Sicilie, del Granducato di
Toscana, dello Stato Pontificio.
Testo
tratto dal
Libro di nave Ardito
di Paolo PIERANTOZZI
LA SECONDA NAVE CHE PORTO' IL NOME
ARDITO
Cacciatorpediniere ARDITO della Classe Indomito
Per
adeguarsi all’evoluzione in atto presso tutte le principali
marine mondiali, in relazione al costante aumento del
tonnellaggio dei cacciatorpediniere, la marina italiana
(all’epoca Regia Marina), nel gennaio 1910, affidò la
costruzione di sei cacciatorpediniere di circa 650 tonnellate in
carico normale alla ditta PATTERSON, che risultava vincitrice
del concorso tecnico-economico appositamente bandito fra le
ditte nazionali ed estere. Altre due unità dello stesso tipo
furono poi commissionate, nell’aprile del 1911, ai cantieri
Orlando di Livorno. I tipo “Indomito” furono i primi
cacciatorpediniere italiani ad essere dotati di motore a
turbina. In merito giova precisare che questo apparato fu
di concezione e costruzione interamente nazionale e che le
prestazioni fornite furono molto soddisfacenti; alle prove,in
carico contrattuale ridotto a circa 575 tonnellate di
dislocamento, tutte le unità superavano i 35 nodi e qualcuna
sfiorò i 36 nodi. Lo scafo fu del tipo THORNYCROFT, già a suo
tempo adottato dai cantieri PATTERSON per la costruzione delle
torpediniere d’alto mare; esso era suddiviso longitudinalmente
da 17 paratie stagne trasversali, 11 delle quali si estendevano
fino al ponte di coperta.
Nei locali
dell’apparato generatore-motore due lunghe paratie
laterali longitudinali formavano, con lo scafo esterno, ampie
intercapedini suddivise in depositi di combustibile e d’acqua. A
proravia e poppavia dei predetti locali due copertini stagni,
che si estendevano fino a murata, formavano, con la parte
inferiore dello scafo, depositi di combustibile, di munizioni e
d’acqua ed altri destinati ai capi carico. L’armamento
principale degli “INDOMITO” rispecchiava l’indirizzo, allora
prevalente in tutte le marine, di dotare i cacciatorpediniere di
un gruppo di cannoni di piccolo calibro (generalmente i 76 mm) e
di un cannone di calibro maggiore (120 ed anche 127). Tale tipo
di armamento venne ben presto sostituito con quello monocalibro.
In tal modo, dopo la fine della guerra 1915-1918, gli “INDOMITO”
furono armati con cinque cannoni da 102/35, il che comportò il
rafforzamento dei basamenti disposti per i 76/40, e le modifiche
dei depositi munizioni indispensabili per accogliere il nuovo
munizionamento; venne inoltre installata una mitragliera da
40/39 al posto del proiettore.
Per quanto
riguarda i lancia siluri, l’armamento iniziale appare piuttosto
esiguo per queste siluranti di elevato tonnellaggio; perciò a
partire dal 1914 gli “INDOMITO” (meno l’ARDITO e l’ARDENTE)
furono dotati di altri due lanciasiluri da 450 mm alleggeriti,
tipo DE LUCA, che vennero sistemati lateralmente su piattaforme
girevoli immediatamente a poppavia del castello, il che comportò
lo spostamento del pezzo da 76/40 centrale di dritta di circa 11
metri verso poppa. L’ARDITO e l’ARDENTE sostituirono
invece gli impianti singoli di lanciasiluri con impianti binati
alleggeriti, che rimasero ubicati in posizione centrale. Nella
stessa epoca tutte le unità furono dotate di sistemazioni
amovibili per 10 torpedini bollo in coperta a poppa e di
tramogge per il lancio di bombe torpedini da getto;
inoltre fu generalizzata l’adozione delle apparecchiature per il
dragaggio in corsa, sperimentate con successo dall’ARDENTE. Nel
corso della prima guerra mondiale tutte le unità effettuarono
opportuni adattamenti per portare la dotazione del combustibile
a circa 128 t, il che avrebbe dovuto consentire un aumento del
25 % dell’autonomia. Le modifiche apportate all’armamento, le
nuove sistemazioni, il maggior carico di combustibile
aumentarono di conseguenza il dislocamento degli “INDOMITO” che,
a pieno carico, si avvicinarono a 900 tonnellate.
Le
velocità massime e di crociera ne risentirono in modo
notevolissimo e l’autonomia raggiunse valori ancora più bassi di
quelli iniziali. Nel complesso queste unità dettero però
soddisfacenti prestazioni e le deficienze emerse a seguito delle
varianti apportate al progetto iniziale non ebbero in genere a
verificarsi sulle navi dello stesso tipo successivamente
costruite. La vita degli “INDOMITO” fu particolarmente lunga e
caratterizzata da una intensa attività disimpegnata sia in pace
che in guerra; questa fu la migliore conferma della bontà del
progetto e della robustezza della costruzione. L’ARDITO
dopo l’entrata in servizio entrò a far parte della 1ª
Squadriglia Cacciatorpediniere della 1ª Squadra Navale
partecipando ad esercitazioni addestrative in Tirreno, nello
Ionio e nelle acque siciliane fino all’entrata in guerra
dell’Italia a fianco dell’intesa. Venne quindi assegnato alla
divisione “MILLO” per la protezione del traffico ed effettuò
missioni di scorta da BRINDISI a LA SPEZIA e in acque albanesi.
Nel maggio
1916 fu aggregato alla divisione esploratori disimpegnando
servizio di sbarramento mobile del Canale d’Otranto ed
effettuando ricognizioni a carattere offensivo in acque dalmate.
Dopo circa un anno fu assegnato alle forze navali dell’alto
adriatico per la difesa costiera dal fronte terrestre fino
ad ANCONA. Alla data dell’armistizio fu tra le prime unità ad
entrare a POLA ed a scortare a VENEZIA le navi Austro-Ungariche
prede belliche di guerra. Nel luglio 1919 raggiunse LA SPEZIA
per un periodo di lavori, durante il 1920 operò alle dipendenze
della Squadra e per missioni varie compreso il rimorchio, da
TUNISI e BISERTA ai porti Italiani, di unità germaniche
assegnate all’Italia in conto riparazioni di guerra. Fu poi di
stazione a SASENO e a VALONA; effettuò una speciale missione a
DURAZZO, prestò servizio in acque dalmate periodo
(maggio-giugno 1921); trasportò infine dall’Italia il nuovo
Governatore della Tripolitania. Nei tre anni che seguirono, fu
assegnato alla divisione navi scuola (Taranto), esplicò soltanto
attività locale; dal novembre 1924 al maggio 1925 fu a
disposizione dell’accademia Navale per l’istruzione pratica
degli allievi. Fu quindi assegnato alla squadriglia
cacciatorpediniere dell’Alto Adriatico e dislocato a POLA
per il servizio di quella scuola cannonieri; nel 1926 effettuò
anche alcune crociere addestrative toccando isole e porti della
DALMAZIA e del QUARNARO.
Dal 1928
fu unità di riserva della divisione Speciale a Venezia senza
peraltro esplicare alcuna attività di Squadra ed effettuando
solo occasionalmente alcune missioni di collegamento con POLA,
ZARA, MONFALCONE e TRIESTE, prima di essere posto in disarmo
nell’estate del 1931.
Testo
tratto dal
Libro di nave Ardito
di Paolo PIERANTOZZI
NOMINATIVI PERSONALE IMBARCATO SUL
CACCIATORPEDINIERE ARDITO CLASSE INDOMITO
PRIMO CAPO SDT CAIMI VITALIANO
CLASSE 1922
LA TERZA NAVE CHE PORTO' IL NOME
ARDITO
Torpediniera ARDITO (Classe CICLONE)
La
costruzione di queste torpediniere di scorta fu imposta
dall’immediata necessità di potenziare la protezione del
traffico con l’Africa settentrionale, compito che le
torpediniere tipo “SPICA” potevano svolgere solo in modo
condizionato e con crescente difficoltà. Fu pertanto
incaricato il comitato Progetto navi di rielaborare il progetto
delle “PEGASO”, che avevano già dato buona prova come unità di
scorta, potenziandone l’armamento specialmente contraereo ed
antisommergibile.
Le prime
unità della nuova classe progettata furono impostate nell’aprile
1941 e le rimanenti seguirono a ritmo serrato fino al
gennaio 1942; le costruzioni furono affidate
contemporaneamente a diversi cantieri in modo da
sollecitarne l’entrata in servizio. All’8 settembre 1943
quindici delle sedici unità era già state consegnate alla Regia
Marina; l’ultima, l’INTREPIDO, fu varata esattamente nel giorno
della proclamazione dell’armistizio. Le forme dello scafo furono
uguali a quelle delle “PEGASO”, con dimensioni di poco maggiori,
che comportarono un aumento di circa 100 tonnellate nel
dislocamento a nave scarica; anche l’apparato motore fu dello
stesso tipo e pertanto la velocità massima delle “CICLONE”
risultò di 3 nodi inferiore a quello delle “PEGASO”. Per quanto
si riferisce all’autonomia essa venne ridotta adeguandola
all’effettivo impiego che queste unità avrebbero avuto nel
proseguo del conflitto in atto. L’armamento previsto dal
progetto, riportato nel quadro delle caratteristiche principali,
potenziò notevolmente il numero e il calibro delle mitragliere
ed ammodernò quello antisommergibile con l’adozione di più
efficienti lanciabombe forniti dalla Germania.
Ma già
prima che le unità venissero consegnate alla Regia Marina, il
potenziamento dell’armamento contraereo, ed in parte minore
anche quello antisom precitato, non poteva ritenersi più
adeguato alle effettive necessità e pertanto, su sette delle
unità della classe, venne abolito l’impianto da 100/47 centrale
ed al suo posto fu sistemato un altro impianto binato da 20/65
(GROPPO, MONSONE, ALISEO, GHIBLI) ovvero un impianto quadruplo
BOFORS da 20 mm fornito dalla Germania (ANIMOSO, ARDENTE,
ARDIMENTOSO) inoltre limitatamente con le disponibilità, su
alcune unità i lanciabombe tedeschi furono portati a sei
aumentando contemporaneamente la dotazione di armi da getto. Le
unità che ebbero elevato il loro armamento contraereo a ben 12
canne da 20 mm, risultarono dei veri nudi di mitragliere che
permettevano una difesa antiaerea ravvicinata decisamente
efficiente. L’installazione di moderne apparecchiature di
localizzazione subacquea conferirono a queste torpediniere
ottime qualità per la caccia ai sommergibili; alcune unità
furono inoltre dotate di radar che aumentò sensibilmente la loro
complessiva efficienza bellica. Ad eccezione delle cinque unità
che dopo la cessazione del secondo conflitto mondiale vennero
cedute in conto riparazioni, queste navi ebbero vita brevissima,
generalmente inferiore ad un anno, e pertanto appare arduo poter
esprimere un giudizio complessivo sul comportamento nel tempo di
questa classe.
Si può
comunque affermare che il progetto rappresentò un sensibile
miglioramento e ammodernamento di quello della classe ”PETASO”;
le costrizioni, effettuate a guerra già da tempo iniziata,
risentirono naturalmente sia dalla fretta sia dalla
deficienza di metalli e materiali pregiati; e pertanto, sia gli
scafi, sia gli apparati motori, sia gli impianti ausiliari, non
avrebbero potuto uguagliare nella durata quelli delle
torpediniere di scorta di costruzione prebellica. L’ARDITO
effettuò un intenso periodo addestrativi a La Spezia nell’estate
del 1942 organicamente assegnata alla 3ª Squadriglia
torpediniere di scorta. Fu poi per un certo tempo attiva in
Tirreno ove partecipò alla scorta dell’incrociatore
BOLZANO colpito da siluro, il 15 settembre, e al disincaglio del
piroscafo LUCRINO, nelle acque sicule, il 10 ottobre successivo.
In seguito, durante il 1942, compì ventisei missioni di scorta a
navi mercantili italiane e tedesche, isolate o convogliate, nel
mediterraneo centrale e segnatamente tra l’africa
settentrionale ed i porti della Grecia. Nel corso di tali
missioni , il 23 novembre, al largo di Tripoli, ebbe morti e
feriti a bordo per mitragliamento da parte di aerei avversari,
uno dei quali venne abbattuto; prestò opera di soccorso a
naufraghi di navi mercantili affondate da sommergibili
avversari, contro i quali effettuò, rispettivamente tra il 16 ed
il 24 dicembre, decise azioni di caccia che sortirono il
probabile danneggiamento di uno di essi e l’affondamento del P48
Britannico (in concorso con altra torpediniera) a 10 miglia a NW
di Zembra.
Nel corso
del 1943, fino all’armistizio, la torpediniera ARDITO effettuò
altre ventotto scorte a navi mercantili; nel corso di tali
missioni prestò soccorso ai naufraghi dell’ARDENTE e di unità
mercantili affondate prevalentemente da attacchi di bombardieri
e di siluranti avversari; la torpediniera subì due loro decise
azioni di mitragliamento che provocarono lievi danni e perdite
fra il personale mentre la sua contraerea contribuì ad abbattere
due degli aerei attaccanti; senza risultato controllato rimasero
invece le sue azioni antisommergibile del 9 e del 22 giugno.
All’armistizio l’ARDITO si trovava a Bastia e riuscì a sfuggire
ad azione di fuoco di reparti terrestri tedeschi raggiungendo
Portoferraio con avarie a bordo; durante i necessari lavori di
riparazione, fu catturata dalle forze tedesche e venne
incorporata nella loro Marina con la caratteristica e matricola
TA 26. Mancano sicure notizie circa l’attività che la
torpediniera disimpegnò sotto bandiera germanica ma, molto
probabilmente, essa fu adibita alla difesa del traffico
nell’alto Tirreno, purtroppo affondò, a seguito di azione di
sabotaggio ad opera degli alleati, davanti a Rapallo il 6 luglio
1944.
Testo
tratto dal
Libro di nave Ardito
NOMINATIVI PERSONALE IMBARCATO SUL
TORPEDINIERE ARDITO CLASSE CICLONE
MICHELANGELO PANEBARCO
Nato a
Torremaggiore (FG) il 28.04.1923. Come riportato nel suo stato
matricolare, è stato congedato nel marzo 1963 per passare
all'impiego civile con il grado di Capo di 3° classe. E' stato
imbarcato sull'Ardito dal 1.4.1943 al 8 settembre dello stesso
anno, proveniente da Mariscuola Pola, dove aveva svolto il corso
di Furiere.
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